Hirpu – il giovane cacciatore, libro di Pierangelo Colombo

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draw_pen_256-21recensione a cura di: Giovanni Mannino

Scorrendo le pagine di questo libro ci sentiamo improvvisamente trasportati nella realtà storica di un antico popolo stanziato sulle alpi, precisamente nelle valli di Lanzo e nel territorio del Moncenisio, che incuriosisce e affascina sin dalle prime battute. Stiamo parlando dei Graioceli, un piccolo popolo celtico originario dell’attuale Maurienne, che abitarono le valli a ridosso delle alpi Graie presumibilmente tra il III e il I secolo a.C.. Considerando le scarne fonti tramandate sul tema, tra cui il De bello Gallico (in latino “Sulla guerra gallica”) di Gaio Giulio Cesare (generale, politico e scrittore romano del I secolo a.C.) è lo scritto più conosciuto, assume ancora più valore il lavoro di ricerca e stesura dell’opera svolto dall’autore, che con dovizia di particolari ci introduce alla scoperta di un idioma, di credenze e riti pressoché sconosciuti, le cui radici affondano nel nostro passato quasi a implorarne il risveglio e la preservazione. Un’epoca distante due millenni, durante la quale questi nostri antenati diedero vita ad una cultura religiosa, artistica e morale considerevole, della quale si può scorgere traccia nei canti, nei dialetti, nelle feste popolari e nelle tradizioni odierne: un patrimonio unico, prezioso ed insostituibile.

 

Il suono delle parole celtiche inserite da Colombo nello scritto esercita una magia che si espande sulla linea del tempo attraversando gli anni, i secoli ed i millenni, portando con sé notizie nemmeno sospettate: indagarne i segreti è come “Cercare una rotta dentro di sé della propria storia e della propria intima terra, che torna a sbocciare qua e là come una Naturpoesie”. Tornano a vivere parole come pagu (clan), sagus (pesante mantello in spessa lana grezza e infeltrita), bug (lunga lancia), torque (collare mistico ritorto a ferro di cavallo), che permeate dagli odori, dai colori ed i rumori immortali delle alpi, ricreano sapientemente l’atmosfera di questo popolo istruito a leggere nel volo degli uccelli o fra le viscere degli animali sacrificati i segni degli déi. Gradatamente si palesa davanti agli occhi del lettore un nuovo capitolo del connubio tra Madre Natura, fonte dei sentimenti e delle passioni più autentiche, ed i suoi figli, in cui l’uomo trova conforto, in cui si specchia e si identifica alla ricerca della pace interiore. I bramiti ed i combattimenti che i cervi ingaggiano durante la stagione degli amori, suscitano perciò una vasta eco nella rivalità amorosa dei contendenti la figlia del re. Mentre il lupo, che improvvisamente appare durante l’esperienza solitaria del giovane cacciatore Hirpu, diviene la guida del suo viaggio iniziatico attraverso le foreste, i dirupi e le scoscese montagne dell’Altromondo. In perfetta sintonia con le credenze dei Celti, che consideravano il lupo portatore di una conoscenza che viene dal regno delle ombre, la sua dipartita segnerà per Hirpu l’inizio di una nuova stagione che l’autore sigilla in questo modo: “Non un semplice lupo, un compagno o uno spirito della foresta era venuto a mancare, ma una parte stessa della propria anima; l’unico che aveva creduto in lui sino a seguirlo nella morte. Doveva partire, dunque: il tempo del lupo era terminato, toccava all’uomo, ora, cavarsela da solo.”

 

Le vicende narrate registrano una impennata emotiva quando sul palcoscenico delle alpi fanno la loro comparsa in assetto da guerra le truppe di Annibale, il più grande esercito mai visto dai Graioceli. E qui con bravura l’autore tratteggia e suscita lo stupore dei protagonisti e del lettore con questa efficace descrizione degli elefanti, capaci di rievocare con i loro barriti i racconti terrificanti degli anziani del villaggio, leggende di animali mitologici, spiriti mostruosi mandati dagli dèi degli inferi a dispensare morte e devastazione: “Tra le file ordinate dei soldati, animali alti quanto una capanna e dalla mole imponente ostentavano un naso così lungo da arrivare sino al terreno, in grado di contorcersi come un serpente. Le zanne si protendevano in avanti, arcuandosi verso l’alto”.

 

Improvvisamente ad essere minacciata non è solo la vita dei Graioceli, ma la sopravvivenza della loro identità culturale fondata sul culto degli déi, i quali sembrano giocare con le loro vite: da abili cacciatori ora sono diventati fragili prede. Il giovane cacciatore Hirpu, Brennu suo rivale in amore, Artal e gli altri valorosi compagni di caccia, dopo avere affrontato innumerevoli pericoli, tradimenti e contrarietà di ogni genere, si troveranno costretti a compiere scelte difficili e alla fine dell’avventura si scopriranno intimamente cambiati.

 

La narrazione non presenta pause né voli pindarici, il lettore si ritrova a camminare con passo costante e armonico lungo sentieri che parlano delle difficoltà della vita, di ritmi antichi, di rapporti e sentimenti eterni. E scopre in queste pagine un immenso rifugio, in cui vorrà tornare più volte: per avere un contatto immediato e spontaneo con Madre Natura, per riflettere alla luce delle stelle e realizzare quella libertà che il mondo reale spesso nega, per avventurarsi in luoghi incontaminati che sollevano il velo su se stesso. In conclusione un libro meritevole del riconoscimento ricevuto dalla giuria: terzo premio narrativa inedita, alla IV edizione del Premio Letterario Città di Pontremoli.

 

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